Io arrivo in silenzio
di Ade Zeno

Io arrivo in silenzio. Sono un uomo preciso, astuto. Non sono fatto per lasciarmi vedere. Vi chiedo scusa se ho spaventato i bambini nel letto qualche volta, oppure le suocere in visita, o gli amanti nascosti negli armadi, o perfino voi, nobili abitatori di case. Perfino a me può capitare un’inesattezza capace di far incappare negli errori più grossolani – un oggetto che cade, una tazza di caffè rovesciata sul tappeto, un semplice starnuto. Me ne scuso ancora, e con un po’ di vergogna. Basta inciamparsi, mettere male un piede, rotolare per le scale,  far scricchiolare il parquet, che subito mi sentite. Oppure un libro che ho sfogliato dimenticando di riporlo al posto che gli avevate assegnato nella vostra biblioteca ordinata e pulita. O un lavandino chiuso male, una cravatta mancante, un disco ancora posizionato sul piatto. Per non parlare dell’asse del cesso alzato, un dettaglio che dimentico spesso quando attraverso appartamenti di solitarie zitelle. (Sono moltissime, un esercito muto, decisamente più di quante se ne possano immaginare. Senza uomini che girano abitualmente per casa, le loro quattro stanze sono fredde e trasparenti, senza segreti). Potrei andare avanti per molto, l’elenco degli errori si protrarrebbe per decine di pagine. Vi chiedo scusa perché non posso fare a meno di visitarvi. Tutto quello che voglio è sostituirmi alle vostre vite per almeno un quarto d’ora. Se la durata aumenta è perché sto bene nei vostri panni: non capita spesso, per più di due ore e tre quarti non è mai successo. Non sono pericoloso, ritengo importante che si sappia. Non ho mai procurato dolore, non ho incendiato nessuna delle case che ho visitato, né mi è mai successo di cedere alla tentazione di conoscervi, tentazione che non nego di aver avvertito più di una volta. Mi faccio bastare la curiosità verso i vostri oggetti, verso le vostre cose; non sono un avido, sfiorare ogni notte le impronte lasciate da sconosciuti è sufficiente. Assaporo per così dire vite di riflesso, o se preferite calchi approssimativi. Certo è solo un’impressione imprecisa, tanto vaga quanto può esserlo un’ombra molle. La solitudine è un buon mestiere, si imparano ad apprezzare il silenzio e i gesti mancati. Di giorno, poi, lavoro al mio romanzo nascosto. È un’opera lunga che credo mi impegnerà per parecchi anni, ovvero gli anni che mi restano da vivere. Tratterà, manco a dirlo,  soprattutto di voi, dei vostri nascondigli. Non ho scritto una sola pagina, per ora è un lavoro perlopiù mentale. Registro appunti concisi, planimetrie, bigliettini lasciati sul frigo. Quando l’avrò finito sarete dei protagonisti inconsapevoli. Come me, del resto, a mio modo. Per adesso, quindi, non abbiate paura. Sono un uomo preciso, astuto. Non appena il romanzo sarà ultimato, allora finalmente saprete ogni cosa. Vedrò come contattarvi, vi chiamerò, lascerò in giro post-it espliciti e il mio numero di telefono. Sarò ormai un vecchio, come voi. Avremo molti argomenti di cui parlare.