Stacco, sospensione, il mistero di questo corpo… e la leggerezza di Calvino,
di Marco Mancassola

rino

Il mio corpo è tiepido e pesante quando al mattino lascio le coperte. Mi sciacquo il viso con l’acqua fredda e assorbo l’aroma di un caffè, scruto inquieto il cielo oltre la finestra. Infilo un paio di scarpe da corsa ed esco ad affrontare la nebbia del mattino, respirando forte nell’odore dell’inverno, spingendo i muscoli oltre la barriera dell’inerzia e del loro primo, indignato bruciore. Gli alberi assistono muti a questa prova. Il sentiero lungo il fiume è sterrato e pieno di buche, di improvvisi dislivelli, e conosco il punto in cui per superare un fossato devo prendere la rincorsa e spiccare un salto, ogni volta, restando nell’aria per una frazione di secondo. Non è certo un grande salto. Ma è abbastanza per avvertire lo stacco, la sospensione, abbastanza per sentire il mistero di questo corpo, il mio corpo ansimante, con questi muscoli brucianti, le gambe in tensione, il mio pene rattrappito per il freddo, questo corpo che si libra e sorvola la terra, sfidando il terrore di ogni caduta. Atterro. Continuo a correre. Credo che gran parte della mia esperienza non solo di atleta dilettante ma soprattutto di scrittore sia in quel momento sospeso, in bilico, in quello stare spaventato e fiducioso nell’aria, aspettando che il piede trovi l’altro bordo del fossato. Nel mio percorso mattutino il salto viene dopo i primi minuti di corsa, al momento in cui il respiro si stabilizza, e segna in genere il confine oltre il quale la mia corsa si fa regolare, spedita e leggera. Allo stesso modo so che quando tornerò a casa e siederò alla scrivania, dopo una doccia gratificante e dopo la colazione, quando insomma accenderò il computer e affronterò la realtà del mio lavoro che è una realtà fatta di pesantissime parole, allo stesso modo verrà un momento, se sarò abbastanza abile e fortunato, in cui spiccherò il mio salto e dopo di esso la scrittura inizierà a fluire, con misteriosa grazia, con stupefacente leggerezza. Ora, questa della leggerezza è un’idea che da sempre ossessiona molti. Leggerezza nella scrittura e della scrittura, una leggerezza insomma che si trasmetta al lettore fino a diventare un elemento fondante della pagina, un vero e proprio valore letterario. Italo Calvino ne scrisse nelle sue famose Lezioni Americane, spesso citate e spesso equivocate, descrivendo come molta parte della storia della letteratura si possa dividere tra il tentativo di trasmettere la pesantezza del corpo, ovvero della stessa esperienza umana, e il tentativo invece di oltrepassare questo peso. Tale oltrepassare non può essere però semplice rimozione: non si diventa leggeri ignorando il corpo, imitando i discorsi delle incorporee realtà televisive, scrivendo senza corpo né densità come hanno fatto tanti scrittori degli ultimi due decenni. Ho sempre creduto che si diventi leggeri conoscendo il peso, vivendolo, spingendolo avanti con faticosa consapevolezza. Si diventa leggeri spiccando il salto.