Covent Garden Promenade
di Darkene Fabiana DiCembre

Pubblichiamo una prosa di una giovane autrice, “nata a Torino in una caldissima giornata di luglio intorno alla metà degli anni ’80”, che ha esordito nel 2007 con il romanzo Che la notte ti sia lieve (Edizioni Libreria Croce, 2007).

Questo, conserva di noi…

Un caffè con la schiuma in un fast food trendy del centro, il sorridersi complice voltando la testa e chiudendo gli occhi lentamente che tu camminavi sempre troppo veloce e io mi perdevo fra gli altri. Ma era così magnifico non sapere di avere una meta…questo, conserva di noi.

In fondo è esistito solo quello che si ricorda e allora dimentica se c’è stato dell’altro, dimentica che poi ho dimenticato come amarti, dimentica il buio e il vento e il freddo…e spariranno senza rumore dalla storia.

La mia, la tua…incrociate, sovrapposte, strappate, saltate in aria in 1000 pezzi che non si possono più trovare.

Ho terrore del dopo.

Mi sono abbandonato così tante volte da non avere più paura degli addii.

E tu indicavi un vestito rosso a fiori in una vetrina di Covent Garden dicendo “che bella il manichino” e io già lontanissimo ho finto di risponderti come in un sogno anche se la pioggia stava portando via con la notte tutti i colori del giorno che era appena stato…

E non mi aiutò pensare che fosse quasi Natale.

La luce oscura la Luna.

La notte oscura il mio Amore.

E tu oscuri ogni altra cosa.

Ho così freddo del dopo.

Ci salveremo come sempre.

Ma quando la paura avrà riconosciuto i nostri nomi proveremo a scappare e cadremo nel fango.

Io, io, io…questi mille volti che di volta in volta chiamo Io, chiamo Dio…si affollano sempre uguali, diversi, spaventati.

Tornare alla Vita, tornare alla Morte, tornare a Casa.

I sogni stipati nel trolley blu con la pancia schiacciata.

È più forte il futuro o il passato?

Chi vince nell’eterna lotta?

Una scelta deve essere definita?

Chi sono? Chi siete? Chi appartiene a chi?

Esitano le mie mani a trovare pace…mi confonde il suono regolare dell’acqua che viene dalla stanza accanto.

Ho paura dei veleni.

Delle cose che avvelenano.

In questi pezzi di storia c’è sempre un tu e un io…Ma io sono io e non ho idea di chi possa essere, invece, tu.

Guardo queste mie mani che tradiscono la mia giovinezza…che mi rivelano quale io sono, piccolo uomo senza più sogni ammissibili. Le vedo sanguinare quando saranno infilzate dai chiodi, e l’acqua che porta via il sangue dritto nelle fogne di questa Città Impossibile che tentacolando mi respinge dopo avermi con l’inganno attratto.

Guardo queste mie mani e penso a te nell’altra stanza, incastonata fra moquette e tappezzeria, antico fregio della mia vita raminga.

Ho silenzio del dopo.

Non ci saranno più significati a riempire i languidi discorsi da bar.

Ci arrampicheremo sugli specchi della nostra fragile retorica, tragicamente certi dell’inutilità di funamboliche contropeterie delle quali, improvvisamente, cominceremo a fare a meno quando avremo più fame e sete. E saranno folle di donne folli a gremire le nostre messe incolte.