Dialogo con William Cliff
di Fabrizio Bajec

Riproponiamo qui un interessantissimo documento, pubblicato circa due anni fa in calce al volume antologico “Il pane quotidiano”, ricca antologia dell’opera di William Cliff curata da Fabrizio Bajec, che consigliamo a chi volesse scoprire, o riscoprire, una grande voce della poesia belga. Il dialogo risale al dicembre del 1999.


UNA SORTA DI DIALOGO

Dicembre 1999, Bruxelles: in una casa, in un ristorante, per strada.

william_cliff

FB Prima di tutto, devo confessarle che mi aspettavo di trovare la sua abitazione esattamente così, come la si immagina leggendo le sue opere.
WC Ma io sono un poeta realista!
FB Dunque lei accetta questo termine? Possiamo subito parlare di poesia realista?
WC Assolutamente sì.
FB E quali riferimenti troviamo nella poesia belga?
WC Nessuno.
FB Intende dire che la sua è una poesia fuori dalle correnti della letteratura belga?
WC Sì, non ha nulla a che fare con essa.
FB Forse si può parlare di poesia dell’esperienza, come è chiamata una corrente della poesia spagnola.
WC Direi catalana. Sì, è un termine che non mi dispiace.
FB E come reagisce alla poesia francese, ha delle preferenze?
WC No, è merda borghese. Tutti questi intellettuali parigini, che non hanno fatto nessuna esperienza. Sono restati nei loro appartamentini a pensare che più la poesia è oscura più vale qualcosa. Sono tutti uguali. Una volta un francese mi ha rifilato le sue poesie chiedendomi un giudizio. Gli ho detto: “Bravo, scrivi come René Char, non hai bisogno d’altro. Ne puoi scrivere tante di poesie, così.”
FB Quindi si ritiene lontano dai rappresentanti della poesia “estrema-contemporanea” francese. Che so, da Emmanuel Hocquard o Christian Prigent?
WC Non li sopporto. Hocquard mi fa ridere. Sa che le dico? Prigent è in fondo un romantico che non vuole ammetterlo. Storpiare la lingua in questo modo è un reato. Tutta questa gente non ha capito. C’è un errore epistemologico alla base. La lingua è fatta per comunicare, non serve ad altro.
FB D’accordo. Le piace parlare di letteratura, in genere?
WC Sa, in genere non parlo molto con gli altri. Vivo da solo.
FB Dell’attuale poesia belga cosa le piace?
WC Quasi niente. Izoard è una bravissima persona, per carità. Le prime raccolte di Eugène Savitzkaya erano interessanti, penso a L’Empire, Les couleurs de boucherie. Anche Liliane Wouters, conosce?
FB Sì, ma le poche poesie lette non mi hanno colpito.
WC C’è qualche bella poesia. E’ molto lirica.
FB Parliamo allora del lirismo, della sua versificazione. Che motivi ci sono? E’ un modo di pensare la poesia, con quei versi regolari? E la disarticolazione, le troncature a fine verso? Sono tentativi di deridere tutta una tradizione “classica”?
WC No, non esattamente. La versificazione regolare non è un modo di pensare la poesia, è il mio modo di parlare in versi. La rima porta avanti il discorso, mi aiuta a proseguire. La vera poesia è in versi e non in prosa. In prosa non ha senso. Riguardo poi la troncatura, essa è moderna, è innovativa, e non irrispettosa della tradizione.
FB Considerando la sua poesia, di quale tradizione si può parlare? Se cito i nomi di Ferrater, Georges Perros, Bertold Brecht, Villon, Robert Frost, Verlaine. Lei riconosce queste influenze?
WC Sì, sono tutti poeti che lo stesso Gabriel Ferrater mi aveva consigliato di leggere a suo tempo. Io aggiungerei anche Baudelaire. La lettura dei Fleurs du Mal è stata determinante per me.
FB E’ curioso perché le avrei detto che la poesia di William Cliff, a mio parere, riposa su un fondo baudelairiano.
WC
E’ interessante. Perché no?
FB E per quanto riguarda una certa poesia americana degli anni ’60-’70, detta “confessional”, ritiene che abbia influito sulla sua? Accetta il termine “confessional”?
WC Sono un po’ sorpreso. Chi sono i poeti “confessional”?
FB Robert Lowell, Sylvia Plath, Anne Sexton, Adrienne Rich, Charles Wright e altri…
WC Bene, a parte il fatto che tutti i poeti che lei cita sono molto diversi tra loro, e che io non conoscevo l’aggettivo che gli hanno affibbiato, e che forse li accomuna, devo dire che sì, posso accettare il termine “confessional” per me stesso. Non credo che quegli autori mi abbiano influenzato. Quando ero giovane, come tutti ho letto Ginsberg, e ne sono rimasto affascinato; all’epoca andava di moda.
FB E Bukowski?
WC Mi hanno spesso paragonato a lui, e ogni volta mi arrabbio. Lui si compiace nelle losche storie che racconta. Non è onesto. Ha creato un personaggio e lo fa recitare anche nelle sue poesie. E poi guardi i suoi versi. E’ interessante a prima vista, ma finisce per stancarmi presto. Bisogna leggerlo in inglese.
FB Ha detto: “Si compiace”. Un giornalista, parlando della raccolta En Orient, ha detto che lei si compiace nella sporcizia.
WC Io mi compiaccio nella sporcizia… lui non c’è stato in Egitto a vedere come era, lo schifo che si poteva trovare ad ogni angolo di strada. Io ho detto semplicemente ciò che ho visto.
FB Ma se si prendesse questo voyeurismo del viaggiatore e lo si trasferisse sul piano della veggenza del poeta, che cerca la verità più profonda nella concretezza delle cose, nella loro descrizione? Non tanto come Rimbaud e l’impossibile impresa di trovare la verità ultima, ma come Baudelaire che va alla radice del male. Non c’è una relazione con una tradizione cristiano-metafisica?
WC Direi di sì.
FB Lei è credente?
WC E’ difficile rispondere. Io credo nella speranza e nella gioia primigenia. Un bambino quando nasce sorride automaticamente. Lasci perdere il dolore del parto o i primi bisogni. Nessuno gli ha insegnato a sorridere, e il neonato lo fa da solo, sorride alla vita. Non sa niente di ciò che l’aspetta e sorride. Vede, io credo in quel sorriso. In quest’atto di creazione positiva. Qualcuno non può aver fatto uno sbaglio così grosso.
FB Nei suoi libri di versi l’uomo è un animale braccato. Tutti i personaggi vivono questa condizione di insicurezza, senza pace.
WC Non è vero, prenda l’uomo di cui parlo nella lunga poesia sciolta che lei mi ha tirato fuori, prima. Le sembra un uomo braccato? Ha visto quello che mi ha fatto? E’ lui che ha il sopravvento. Sa quello che vuole.
FB Ha ragione. Ma almeno deve ammettere che lei, per come appare nelle sue poesie, è un uomo braccato, e che in qualche modo può rappresentare, nella sua singolarità, la condizione dell’uomo contemporaneo.
WC E’ vero, sono un uomo braccato (assume un’aria pensosa e grave).
FB Lei ha sostenuto la posizione dell’io poetante, dai suoi esordi fino ad oggi. Mi spiego: la sua poesia è soggettiva. Chi parla nelle sue liriche è un io integro, non schizofrenico. Ciò potrebbe essere il sintomo di una posizione filosofico-estetica un po’ desueta, secondo molti suoi colleghi contemporanei. L’accuserebbero, oltre di invecchiare la poesia con le forme che lei usa, anche di avere una concezione ancora romantica dell’uomo.
WC Il mio modo di fare poesia non c’entra con l’evoluzione della concezione dell’uomo, con ciò che l’uomo è diventato. Il problema è un altro. Bisogna dire la verità. Chi parla sono io, e lo faccio con la lingua che conosco.
FB La ringrazio per la pazienza che ha avuto. Si avvicina Capodanno, mi dica, cosa farà la sera della vigilia?
WC Non lo so. Ma non invidio lei, che sta per tornare a Roma, con tutti quei turisti, gente venuta dai quattro angoli del mondo per il Giubileo. Deve essere un casino in questo momento! Io non ho idea di quello che farò. Forse starò qui.

Da William Cliff, Il pane quotidiano, a cura di Fabrizio Bajec, Edizioni Torino Poesia, 2008