Vino
di Elena Mearini

Tengo le braccia conserte. I gomiti sul tavolo. Le dita serrate a tenaglia. Fisso il pane mozzicato di lato. Lo scavo del morso. Il bicchiere è ancora pieno. Vino rosso. Denso da piegare il polso. Lui mi siede di fronte. Risucchia l’aria tra i denti. Cerca l’ingoio del niente. Poi inclina la testa. Socchiude gli occhi. Il labbro inferiore inizia a tremare. E’ colpo di remo a spingerlo al largo. Dondola la testa. Destra. Destra. Sinistra. Segue l’onda del sangue. Frusta di serpe. Miscuglio di voglia che strozza la gola. Si ferma. Afferra il bicchiere. La bocca s’attacca come ancora al fondo. Beve. Un botto secco. Ci guardiamo. Duello tra un muto e un sordo. Io non parlo. Lui non sente. La mia parola è verbo che mai si farà carne. Non davanti a questa faccia d’ossa. Sembra scolpita nel marmo. L’alcool ha lavorato di piccone e scalpello. Duroni alle dita e gobba alla schiena. Piegato per anni sopra zigomi e tempie. Povero papà. Ridotto a lisca di pesce. Spolpato a furia di sorsi. Sei geometria di spigoli. Ammasso di cime. In te non trovo discesa a valle. Che sia deposto di carezza. O scivolo di un bacio.

Mi alzo. Prendo le sigarette. L’accendino. Saluto papà. L’alzata di mano di chi colpisce una mosca in volo. Lui cade stecchito. In silenzio. Nel suo secondo bicchiere. Poi resuscita con il fiato di un ciao. Ma io sono già alla porta. Il corpo intento a scendere le scale. Il cuore insaccato in un collo di bottiglia. Affretto il passo. L’odore del vino m’impicca l’ombra. Giri di corda a spaccare il fiato. Corro. Secondo piano. Primo piano. Piano terra. Terra di ulcere e di sputi. Di bestemmie pugni e vetri rotti. Apro il portone. Auto in coda. Sterzate e clacson. Alzo lo sguardo. Finestra centrale. Terzo piano. Eccolo. La faccia dietro la tenda. Un profilo che sporge e non sa dove andare. Uomo di latta battuto dal vento. Martellato dal pianto. Apre la finestra. Si affaccia. Mi cerca. Mi vede. Rientra papà. Torna nel tuo imbroglio. Resisterai cinque minuti. Solo. Avanti e indietro per la stanza. Negli occhi il formicolio del dubbio. Poi batterai le palpebre. Tre colpi e apparirà la bottiglia. Una puttana a gambe aperte sopra il tavolo. Non saprai resistere. Stregato nel sangue finirai battuto. Lui apre la finestra. Prova a chiamarmi. Impasto di voce. Inciampo di lingua. Stropiccia il mio nome. Mille pieghe tra i denti. Mordimi papà. Azzannami. Masticami. Una volta ancora. Ma dopo liberami. Il tuo sputo sarà quel bacio di principe che da piccola ho sognato. Me lo terrò al collo. Infilato nella catenina della Prima comunione. Accanto al ciondolo del Cristo in croce.

Saara, svegliati è primavera… Saaara sono le sette è tu devi andare a scuoolaa. Oh ohoh Saara…

Un salto di parole. Sassolini gettati in mezzo alla strada. A colpirmi la fronte. A svegliarmi una memoria rincoglionita di sonno e di tempo. Papà intona quella canzone. Un Venditti degli anni ottanta. Lo fa con un acuto di guance asciutte. Di gola venduta al vino. I piedi mi scivolano avanti. Arrivo dritta sotto la finestra. La sua voce piove addosso in un rovescio di barile.

Saaraaa prendi tutti i libri…ohoho Saaraaa…

Me la cantavi ogni mattina per spingermi in piedi. Entravi nella mia stanza. Il tuo solfeggio di alveare mi si versava in corpo a colata di miele. Tra una  nota azzeccata e una persa mi vestivo fasciata di sorrisi. Preparavo i libri nello zaino. Tu mettevi lo zucchero del caffelatte. Per me tre cucchiai. Per te la rinuncia al dolce. Caffè amaro. Altrimenti ci scappa l’inganno. Altrimenti è caffè tarocco. Odiavi quelli che “ se la raccontano” .Quelli che fanno dell’inganno una religione. Un altare comodo su cui piangere e morire. Uomo tutto d’un pezzo. Liscio e compatto. Monolite che mai sarebbe crollato. Mai scalfito o crepato. Ti vedevo così. Sono cresciuta amando una bugia che ti scrivevi sulla pelle. Ci ho creduto papà.

E adesso queste cazzo di gambe non mi lasciano andare. Inchiodate qui. Sotto di te. Avvitate al foro di una verità lontana. Storta come le tue labbra strette al bicchiere.
Le bollette. L’anticipo dell’affitto. Andrea all’asilo. Cerco le urgenze del presente. Uno schiaffo secco per l’avvio dei piedi. Prendo le chiavi dell’auto. Tolgo l’antifurto. Attraverso ora. Ora che non passano auto. Ora che papà s’è ingoiato il canto. Giù dal marciapiede. Striscia bianca continua. Passo cieco. Drogato di malinconia. Grigio l’asfalto. Grigio il fiato. Grigio il respiro. La frenata del motore. Un friggere di ruote. E’ morso alle gambe. Schianto alla schiena. Dolore. A terra. Scricchiolio di travi in corpo. Nenia a bocca tappata. In faccia al tuo viso. Papà sei tu? Chino al mio fianco. Mi sollevi la testa. Un millimetro da terra. Un millimetro dal cielo. Poi il buio.